Andrea Moser è enologo e manager, consulente strategico che aiuta le aziende del settore vino a sviluppare la propria identità sul mercato. Lo abbiamo intervistato per conoscere i suoi nuovi progetti.
Trentino di origine, classe 1982. Dopo aver lavorato nove anni per Franz Haas e diretto la cantina di Caldaro, la più grande cooperativa vitivinicola altoatesina. Oggi Andrea Moser ha deciso di dedicarsi alla libera attività di consulente, che lo vede impegnato presso numerose cantine vinicole italiane.
Nel frattempo, ha anche iniziato a produrre da solista i suoi primi Temporary wine, un progetto enologico destinato alla produzione di etichette di nicchia, del quale usciranno a novembre le seconde annate.
Instancabile e sempre alla ricerca di nuove prove (ricordiamo che nel 2016 si è distinto per l’impresa, portata avanti col collega Gerhard Sanin, di attraversare l’Italia in tandem – oltre 1.000 km – per promuovere il vino Kalterersee, da uva Schiava, varietà tipica della Doc Lago di Caldaro). Di recente Andrea si è lanciato in una nuova avventura: salire in cattedra e diventare docente di vino con la sua scuola di formazione AMProject.
Andrea andiamo subito al punto: la scuola di formazione di AMProject. Cosa ti ha ispirato a creare questo programma e qual era l’obiettivo principale che avevi in mente?
«Credo fortemente nella condivisione del sapere. Insieme al mio team, ho voluto creare questo programma di corsi per raccontare la mia esperienza ma soprattutto per poter offrire soluzioni concrete a chi si approccia a questo lavoro e non solo. I miei corsi sono consigliati anche a sommelier o appassionati di vino ed enologia».
La formazione
Il mondo della formazione del vino, come sai, è saturo di offerte, dai corsi professionali di assaggiatore e sommelier a quelli più easy di avvicinamento al vino. In cosa ritieni che la tua proposta possa differenziarsi?
«Tutti i corsi che oggi insegnano il vino o la sua degustazione ti danno un metodo per assaggiarlo o ti spiegano come il vino dovrebbe essere fatto. Io vorrei dare alle persone gli strumenti e le conoscenze per avvicinarsi e capire questo settore, così che possano capire in autonomia qual è il modo migliore per loro di affrontare questo argomento, senza dogmi e senza sovrastrutture, senza descrittori, e con un approccio più olistico e più libero».
Cosa hai ritenuto che mancasse alla formazione tradizionale e quindi hai voluto dare di diverso?
«In questo momento nel mondo del vino manca la voglia di dire le cose come stanno. Se spieghiamo le cose come stanno, eliminiamo lo storytelling fasullo, ma soprattutto eliminiamo le zone grigie e facciamo luce. E riusciamo anche a sfatare tutti i falsi miti che circolano su questo ambiente, riportandolo alla sua autenticità».
Un corso per chi vuole approfondire
Qual è il pubblico che hai immaginato per i tuoi corsi? Chi ha già sostenuto uno dei corsi tradizionali di vino potrà comunque seguire le tue lezioni e scoprire qualcosa di nuovo?
«Ci rivolgiamo a un pubblico misto di addetti ai lavori giovani che vogliono approfondire le loro conoscenze, giornalisti e comunicatori che hanno necessità di avere informazioni più certe e appassionati con la voglia di imparare cose nuove e sviluppare un pensiero personale sul vino, con informazioni laiche e senza pregiudizi. Mi piacerebbe cambiare il modo in cui raccontiamo questo settore, togliendogli l’aurea di tecnicismo senza per questo banalizzare o semplificare troppo i concetti. Credo che il compito di un divulgatore sia proprio questo».
A tal proposito, credi che i tuoi corsi possano aiutare chi si occupa di comunicazione del vino?
«Ho sempre pensato che per poter parlare di una cosa, prima la si dovesse conoscere. Forse è un’opinione fuori moda. Ci sono tanti professionisti della comunicazione che fanno un ottimo lavoro, ma non tutti sanno bene di che cosa parlano. Ci sono molti giornalisti che stimo e leggo con piacere, che mi hanno fatto sapere che parteciperanno ai corsi, quindi vuol dire che anche tra “quelli bravi” c’è parecchia voglia di ripassare, imparare o semplicemente approfondire».
I corsi di formazione online
I corsi che hai ideato sono tutti offerti in modalità telematica. Come riuscirai a garantire che gli utenti abbiano un’esperienza di apprendimento efficace e interattiva, nonostante la distanza?
«Abbiamo scelto questa modalità per permettere a tutti di partecipare senza limiti geografici. Speriamo di avere iscritti provenienti da zone diverse che possano offrire la loro preziosa testimonianza e confrontarsi a loro volta con altre persone. Proprio per questo, alla fine di ogni lezione, è previsto un momento di scambio in cui gli utenti potranno interagire per fare domande o dire la loro. Come ho detto, il primo obiettivo della scuola di AMProject è la condivisione del sapere a 360 gradi».
Ci puoi dare qualche dettaglio sui temi specifici che verranno trattati nei prossimi corsi e come sono stati scelti?
«Ho scelto i temi delle diverse lezioni insieme al mio team, un gruppo di persone molto diverse tra loro che mi hanno aiutato a identificare gli argomenti più interessanti anche per i non addetti ai lavori. Inoltre, molto spesso sui social ricevo domande da giornalisti o da giovani professionisti, sono partito dalle loro curiosità e dai loro quesiti per studiare il programma. Durante le lezioni percorreremo tutta la filiera, esploreremo il lavoro di cantina e come ogni singola scelta si traduca poi in una caratteristica percepibile nel prodotto finito. Parleremo quindi di come si fa il vino ma anche di come questo debba essere comunicato».
Le nuove sfide
Quali sono le principali sfide che i produttori di vino devono affrontare oggi e come il tuo programma di formazione può aiutarli ad affrontarle?
«Sicuramente il cambiamento climatico sta cambiando e cambierà il modo di fare vino in futuro. Da qualche anno ormai assistiamo a un incremento di fenomeni meteorologici estremi e a vendemmie sempre più anticipate. Sarà quindi fondamentale rendere la viticoltura veramente sostenibile adottando soluzioni che rispettino il Pianeta e, allo stesso tempo, consentano di ottenere prodotti di ottima qualità. Una delle lezioni in programma verterà su un tema che mi sta molto a cuore, ovvero sul delicato rapporto tra la vite e il terreno che la ospita. Il concetto classico di terroir, infatti, tende a focalizzarsi molto sul clima o sulla composizione del suolo e dimentica spesso l’importante apporto dato dai microrganismi che abitano quel determinato terreno, fondamentali per la salute e il benessere della pianta».
C’è qualche consiglio che daresti a qualcuno che sta considerando una carriera nel mondo del vino?
«Se si tratta di aspiranti enologi consiglierei loro di non avere paura di sporcarsi le mani e provare, sbagliare e provare ancora. La perseveranza e la capacità di imparare dai propri errori sono le qualità che permettono di progredire davvero. Inoltre, raccomando di avere rispetto per i colleghi più esperti ma di non avere timore reverenziale nei confronti di nessuno. Per quanto riguarda i professionisti della comunicazione (a partire dai sommelier), raccomando di essere umili e di non trattare mai il lettore, il commensale o il proprio interlocutore con superiorità, solo così sarà possibile stabilire davvero un rapporto con lui e trasmettere in modo efficace il proprio messaggio, qualsiasi esso sia».
I Temporary Wine
Concludiamo parlando di un altro tuo recente progetto, stavolta di natura puramente enologica: i Temporary wine. Puoi raccontarci meglio di cosa si tratta?
«Oggi affianco diverse aziende e seguo progetti enologici che mi danno grande soddisfazione ma avevo da tempo in mente di fare qualcosa che spezzasse il classico e canonico processo con cui si fa vino. Li definisco vini “temporary”, perché vengono prodotte pochissime bottiglie con un livello qualitativo molto alto che vengono vendute in preordine e sono pensate come uniche e irripetibili. A fine novembre usciranno i prossimi: non posso anticipare molto, ma posso dire che saranno due prodotti diversi, ma creati insieme per essere tra loro complementari…».
Non ci resta che aspettare “assetati” di curiosità.