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Il vino-terra

Il vino-terra

Dopo il vino-alcol, il vino-zucchero, il vino-frutto, eccoci alla quarta “categoria”: il vino-terra, quello che antepone a tutto il suo legame con il territorio di provenienza.

Rileggendo le schede di valutazione pubblicate nelle vecchie annate delle numerose guide ai vini ancora imperanti, vi accorgereste come alcuni descrittori fossero quasi assenti nelle prime e presenti con sempre maggior frequenza anno dopo anno. Parliamo del sostantivo-aggettivo “minerale”, della grafite, la pietra focaia, e tutti quegli elementi che provengono dalle viscere della terra anziché dal mondo vegetale.

Questo cambiamento nel nostro linguaggio non è una fisima di degustatori in cerca di originalità ma la spia di un cambiamento in atto, di una nuova tendenza che serpeggia tra i produttori votati all’alta qualità e che non la perseguono cercando di assomigliare ai mostri sacri già consolidati. 

Un vino che trascende il vitigno

Questa nuova sfida possiamo chiamarla vino-terra, ovvero un vino che trascende il vitigno e lo utilizza in quanto strumento per assorbire e far suoi gli umori del suolo in cui affonda le radici. E poi trascende il legno e lo piega ad attrezzo utile per cementare quegli umori, smussarne le spigolosità, bilanciarli e restituirceli in perfetta armonia tra loro.

Intendiamoci, niente di nuovo sotto il sole. Il vino-terra ha una sua ben precisa patria di elezione, consolidata da qualche secolo ed apprezzata soprattutto da chi di vino se ne intende al di là delle mode e dei giochi di prestigio del marketing: la Borgogna. 

Lo straordinario è che, quasi in modo spontaneo, nelle più diverse parti d’Italia, nuovi produttori decidano sempre più spesso di cimentarsi nella produzione di vini-terra, affrontando un’impresa per molti versi temeraria, sia dal punto di vista vitivinicolo che commerciale. Perché si tratta di vini che richiedono grandi fatiche e sacrifici, terroir di rara complessità minerale, vigne estreme per età, conformazione e metodo di allevamento, pratiche agronomiche ed enologiche raramente codificate, intuizione più che raziocinio, coraggio condito con un pizzico di follia. 

Ed una volta avviati al mercato devono combattere contro gli stereotipi del successo consolidato, fatto di potenza, ricchezza, aggressività, tutti elementi che hanno facile gioco nell’affabulare anche il consumatore ben acculturato.

Per quanto l’impresa sia ardua, i risultati sono confortanti ed è sicuramente da questa nicchia che emergeranno i grandi vini italiani del futuro. Hanno solo bisogno di tempo, di incoraggiamenti e di un consumatore più maturo, disincantato e profondamente sensuale.

Articolo tratto da “RuvidaMente.com”, per gentile concessione dell’autore Stefano Milioni: Le 6 facce del pianeta vino – RuvidaMente by Milioni

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