MiscellaneaPot-Pourri

Il vino-frutto

Vino-frutto

Eccoci davanti alla terza categoria di vino individuata dall’autore: il vino-frutto, quello che sprigiona profumi e sapori di frutta fresca.

Non c’è persona al mondo, esperto o novizio, bevitore abituale od occasionale, che non dispieghi un bel sorriso quando avvicina naso e labbra a un calice che sprigiona freschezza, profumi di fiori e sapori fruttati. Il vino-frutto è l’archetipo sognato e perseguito fin dagli albori dell’enologia, quello che donò ebbrezza a Noè, quello cantato da tanti poeti e bevuto da pochi mortali. 

L’essere stato chimera per millenni è dovuto al fatto che le tecniche di vinificazione e conservazione permettevano al vino di esprimere direttamente le caratteristiche dell’uva con cui era ottenuto solo per un brevissimo periodo dell’anno, dalla svinatura all’arrivo dei primi caldi. Ed il rapido degrado susseguente ha spinto i viticoltori ad inventare tecniche di conservazione che inevitabilmente mortificavano proprio il fruttato, quello stretto e naturale (oltre che piacevole) legame con il vitigno di provenienza. 

La tecnica enologica per evitare il degrado del frutto

I progressi tecnologici degli ultimi cinquanta anni hanno messo a nostra disposizione tecniche che permettono di superare egregiamente quell’antico handicap e offrire al mercato vini-frutto che mantengono la loro fragranza per tutto l’anno ed anche oltre. Ci sarebbe da sbizzarrirsi in una competizione di eccellenza, invece ben pochi produttori di prestigio si misurano con questa tipologia e se lo fanno è prevalentemente per ragioni di cassetta, per aggiungere al listino un vino di facile mercato, destinato a procurare ori piuttosto che allori.

Eppure non ci sarebbe momento più indicato di questo, almeno in Italia, per affrontare la produzione del vino-frutto in termini di alta qualità: la generalizzata focalizzazione sui vitigni autoctoni, infatti, in quale altro ambito potrebbe offrire i suoi migliori risultati? Che senso ha riscoprire il Nero d’Avola e poi affinarlo in barrique per farlo assomigliare quanto più possibile ad un Cabernet bordolese? 

È un’operazione sensata cercare di salvaguardare il nostro “immenso patrimonio varietale” senza poi trasferirne le caratteristiche peculiari nel vino che se ne ricava? Il guaio è che, per il momento, quella dei vitigni autoctoni sembra più una moda (se non una disperata speranza commerciale) che una scelta strategica di lungo periodo. Anche se qualche produttore illuminato sta seminando bene e c’è da augurarsi che possa tracciare un nuovo percorso capace di avviare anche i vini-frutto verso l’olimpo dell’élite enologica.

Articolo tratto da “RuvidaMente.com”, per gentile concessione dell’autore Stefano Milioni: Le 6 facce del pianeta vino – RuvidaMente by Milioni

ARTICOLI CORRELATI

Che ne pensi di questo articolo?