La manifestazione svoltasi a Orvieto lo scorso weekend ci ha dato l’occasione per fare alcune riflessioni sulla zona. Ben venga la proposta di creare la tipologia Riserva, visti gli ottimi risultati mostrati da una verticale consortile di 13 annate, con grande predisposizione alla longevità.
Ci sono alcuni misteri nelle denominazioni italiane e questi misteri si presentano con una certa frequenza in alcuni territori con caratteristiche comuni. Non sono caratteristiche pedoclimatiche, viticole, enologiche ma soprattutto “ambientali” tanto da far supporre che ci sia uno schema perdente ma ripetitivo che tende ad affossare realtà storiche che avevano una certa notorietà all’estero. Qualcuno potrebbe pensare che quindi non siano misteri ma le nostre sono solo semplici supposizioni e ci piacerebbe sbagliare e fare ammenda.
Pensiamo per esempio al Chianti, al Custoza o all’Orvieto, con una storia vinicola plurimillenaria di grande qualità bianchista, sparita dai riflettori degli appassionati e della stampa da tantissimi anni.
La storicità dell’Orvieto
Storia che risale agli etruschi, dicevamo, ovviamente allora il vino era diverso ma poi citato sempre nei vari secoli. Grazie alle cantine scavate nel tufo su vari livelli il vino rimaneva stabile, dando olfatti e gustative sconosciute ad altri vini nei tanti secoli che l’Orvieto ha attraversato sempre con superiorità qualitativa. Terreni da tufacei a vulcanici scuri, zone sabbiose e mediamente argillose, danno anche una pluralità di interpretazioni possibili veramente avvincenti grazie anche alla possibilità di blend delle uve presenti.
L’Orvieto Doc
Le uve che compongono l’Orvieto sono principalmente Procanico (Trebbiano toscano) e Grechetto, insieme per minimo il 60%. Il 40% mancante può essere costituito non solo dalle autoctone storiche (Verdello, Drupeggio e Malvasia) ma anche dalle altre uve bianche consentite in Umbria, tipo Chardonnay, Pinot Bianco, Müller Thurgau, Pinot Grigio, Riesling, Sauvignon o autoctoni di altre regioni, tipo Verdicchio, Falanghina, Bellone o Bombino bianco. E qui ci giochiamo un po’ l’attinenza al territorio e alla tradizione. Forse questo, unito alla circostanza che oltre la metà dell’Orvieto viene imbottigliato fuori zona, contribuisce al fatto che purtroppo i prezzi (dell’uva e dello sfuso) rimangano veramente bassi e anche il valore del vigneto non sia cresciuto.
Nonostante tutto l’Orvieto resiste e sfodera le proprie incredibili capacità d’invecchiamento, come ha dimostrato la recente degustazione organizzata dal Consorzio durante la manifestazione Orvieto diVino. Una verticale (purtroppo totalmente alla cieca, i nomi dei produttori non sono stati svelati) dal 2022 al 2010 che ha dato emozioni impensabili e inattese. Profumi interessanti e sfaccettati e soprattutto sapori ricchi, avvolgenti, intriganti pur nelle ovvie diversità.
Nascerà la tipologia Riserva?
Durante la verticale Riccardo Cotarella, presidente del comitato tecnico del Orvieto Doc ha lanciato una brillante idea, accolta con entusiasmo da giornalisti e appassionati: creare la tipologia Riserva. Il nuovo disciplinare dovrebbe prevedere l’uscita sul mercato al terzo anno dalla vendemmia, una composizione di uve che vorremmo molto orientata su Procanico e Grechetto con gli autoctoni storici, tipo 85-90%, libertà totale nel tipo di invecchiamento (acciaio o legno o anfora) e filiera chiusa.
Speriamo davvero che l’idea vada in porto, avrebbe una valenza territoriale importante riunendo le forze centrifughe che hanno portato molti bravi produttori a intraprendere iniziative extra consortili per valorizzare l’Orvieto.
Nonostante i problemi suddetti, ci sono una decina di produttori che ancora ci credono e fanno degli Orvieto incredibilmente buoni e longevi, impegnandosi a mostrare le differenze territoriali che da costoro vengono esaltate. Decugnano dei Barbi, Palazzone, Le Velette, Barberani, Argillae, Madonna del Latte, Mottura, Castello della Sala, Cantine Neri, sono aziende che valorizzano il territorio. Alcuni di questi sono concordi nell’evitare di ricorrere a vitigni “esotici”, altri non condividono le tematiche esposte per dovere di cronaca, confidano nel brand aziendale e/o vendono parte del vino o delle uve a qualcuno; il “borsellino” è pieno e “non sta a me andare contro i mulini a vento”. Buon Orvieto a tutti.