MiscellaneaPot-Pourri

Intervista a Mario Fregoni

Il professor Fregoni, ordinario di Viticoltura all’Università Cattolica di Piacenza e già presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (Oiv), intervistato da DoctorWine parla di Primitivo di Manduria e delle criticità del comparto vitivinicolo in Puglia.

“Salento eccellenza di un territorio. Vinum Vita Est” è il titolo del dibattito tenutosi a Ugento, un piccolo comune nel cuore del Salento. Il relatore, indiscusso protagonista della manifestazione è stato Mario Fregoni, ordinario di Viticoltura all’Università Cattolica di Piacenza. Fu presidente dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin (Oiv), attualmente ne è Presidente onorario, ed è stato presidente del Comitato Nazionale Vini Doc ed estensore della legge 164/92 sulle denominazioni di origine. Con lui abbiamo affrontato alcuni dei temi più dibattuti del momento, focus della chiacchierata il Primitivo di Manduria e le attuali criticità del comparto vitivinicolo in Puglia.

DoctorWine: Lei ha scritto che il Primitivo di Manduria “è un vitigno che rappresenta un valore italiano e internazionale”. Probabilmente è il più iconico in Puglia. Quali sono le ragioni del successo in Italia e all’estero?

Mario Fregoni: Il Primitivo di Manduria è un vitigno che ben si adatta ai cambiamenti climatici, è resistente alla siccità, alla salinità e durante l’estate le foglie riescono a diminuire la traspirazione perché si chiudono e proteggono gli stomi della pagina inferiore. È risaputo che il Primitivo di Manduria è un vitigno di alta qualità e da decenni viene utilizzato al Nord per migliorare il pregio di altri vini.

DW: Le grandi giacenze e l’abbassamento dei costi erano fino a poco tempo le principali preoccupazioni dei produttori della zona, l’arrivo della peronospora ha ribaltato tutto. L’annata in corso è in bilico, secondo lei, o è solo allarmismo? le suddette giacenze possono tornare utili e quali interventi suggerisce? 

M.F.: Sono numerose le regioni, soprattutto nel Meridione, dove la peronospora ha quasi distrutto tutto il raccolto, gli attacchi sono una conseguenza della forte piovosità. Mi hanno telefonato per chiedermi se fosse necessario fare potatore verdi per riprendere la vegetazione perché la peronospora ha distrutto sia i grappoli che la vegetazione. Non è certamente un’annata da ricordare ma l’andamento non è uguale dappertutto, in Sardegna c’è un magnifico raccolto. In alcune zone le giacenze possono sostituire il mancato raccolto di quest’anno.

DW: I produttori del Manduria «secco» stanno decidendo di chiedere il riconoscimento a Docg, unendola in tal modo al «dolce naturale», già Docg. Tuttavia, sembra che non vi sia una domanda contemporanea di riconoscimento di una Doc di ricaduta, lasciando questa funzione alla Igt Primitivo del Salento, che interessa una quantità di produttori molto più vasta rispetto a quella del Manduria. Una sua considerazione in merito?

M.F.: La denominazione è un’indicazione geografica che identifica un prodotto alimentare legandolo al territorio di origine, dove c’è una Docg c’è anche una Doc sottostante, solitamente. Le aree di produzione con un maggiore successo di vendite all’estero sono quelle che hanno la suddivisione piramidale al completo, ovvero Docg, Doc e Igt. Nel caso del Primitivo di Manduria è necessaria una Doc denominata ‘Manduria doc’ o ‘Rosso Manduria doc’, non capisco perché si debba rinunciare all’occasione di una Doc di effetto. L’assenza della Doc di ricaduta è una prova della scarsa conoscenza del mercato del vino italiano nella sfera nazionale e internazionale.

DW: Nel corso del convegno a Ugento ha ribadito che il clima si sta tropicalizzando. La viticoltura si sta spostando verso nord, nell’area della Champagne e in Inghilterra ci sono già impianti sperimentali per fronteggiare questa difficile situazione. I cambiamenti climatici in atto fanno parte dei corsi e ricorsi storici, dobbiamo sorprenderci o pensare a una nuova gestione della viticultura con la superficie vitata che rischia di ridursi?

M.F.: I corsi e ricorsi storici non sono una novità, quanto è già accaduto nel passato puntualmente ritorna. Ma siamo ben consapevoli che il riscaldamento atmosferico è dovuto all’incremento delle emissioni di CO2 Gli attuali volumi di emissioni sono in costante crescita dal 1990 al 2021, sono aumentate del 66,6%. Il riscaldamento atmosferico va limitato con la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, nel settore vitivinicolo è possibile ridurre l’impronta carbonica con la selezione di varietà a basso consumo idrico. Per 8 mila anni abbiamo coltivato la Vitis vinifera franca di piede senza irrigazione, in Puglia si potrebbe pensare di ritornare al franco di piede, più resistente alla siccità, soprattutto nelle zone sabbiose e adiacenti al mare, lì i problemi fillosserici sono assenti, la terra non consente la vita ai fastidiosi insetti di origine nordamericana.

DW: La forma di allevamento del futuro quale sarà?

M.F.: Nel mondo, in America e in Australia specialmente, la spalliera è la tipologia di allevamento più diffusa. La spalliera utilizza meno acqua ed è meccanizzabile, anche se io personalmente prediligo la raccolta manuale. La vendemmia meccanica diventa necessaria a causa della scarsità di manodopera, riduce i tempi di lavoro e, permettendo di avviare le operazioni al momento giusto, è più tempestiva in relazione alle differenti epoche di maturazione dei vitigni. Certo, la vendemmia manuale consente di selezionare l’uva in base allo stadio di maturazione e allo stato sanitario, ma ormai esistono vendemmiatrici in grado di selezionare otticamente e scartare acini inadeguati. E, nelle vendemmiatrici meno avanzate, organi di scuotimento ben regolati evitano il distacco di acini verdi e disseccati. Qualitativamente la forma a spalliera potrebbe eguagliare l’alberello ma quest’ultimo ha una marcia in più: buona resistenza a venti tesi e salmastri, ottima adattabilità ai terreni poveri e siccitosi, poca produzione per ceppo e quindi uva di grande qualità. In termini di consumo idrico per ottenere un litro di vino l’alberello si serve di 350 litri di acqua traspirata, la spalliera di 450 litri e il tendone di 700.

DW: Quali sono le tendenze del futuro e cosa suggerisce al comparto Puglia per migliorare?

M.F.: In base a quanto ho già detto è necessario agire su tre punti: scelta della varietà, selezione della vite a piede franco e un sistema di allevamento più basso e meccanizzabile. Nel prossimo futuro, ne sono certo, la vite non avrà abbastanza acqua a disposizione, si pensi che perdiamo già 5 mila ettari all’anno di riso non seminato per carenza di acqua. Sono dati preoccupanti, si sa che in Cina e in India il riso e l’acqua sono fondamentali per sfamare la popolazione numerosa. In Spagna, per molti anni, la coltivazione della superficie vitata è stata condotta senza acqua nei 3 milioni di ettari di vigneto, recentemente è stata adottata una nuova strategia di gestione della risorsa idrica per passare dalla irrigazione di soccorso a quella fisiologica e sostenibile per ottimizzare l’efficienza produttiva del vigneto. In tal modo la superficie vitata è stata ridotta a 1 milione di ettari raddoppiando la capacità di irrigazione e produzione. Ovviamente dimentichiamo la qualità, è un’altra cosa. Bisogna saper irrigare e conoscere i periodi e la quantità giusti, un ridotto stress idrico fa bene alla vite, dall’invaiatura alla maturazione l’irrigazione è considerata una forzatura.

DW: Nel corso del convegno ha menzionato il Liber Pater, uno dei vini più cari al mondo ottenuto da viti a piede franco. È una moda del momento o prevede un ritorno alla viticoltura franca di piede?

M.F.: In America Latina, in Australia, in Nuova Zelanda e in Russia la viticoltura a piede franco esiste da sempre. In avvenire l’acqua sarà più salata, nei terreni sabbiosi o in riva al mare la vite franca di piede tornerà a fare da padrona perché tollera meglio la salinità, le viti americane no.

DW: Ha detto che si possono ottenere più raccolti nel corso dell’anno, come è possibile?

M.F.: Con la tropicalizzazione del clima è possibile fare due vendemmie all’anno con una tecnica che ho già applicato in Venezuela e in Brasile. I tempi di raccolta variano a seconda della varietà e dell’epoca in cui si è messo in atto la procedura per indurre la vite a riposarsi per poi iniziare un nuovo ciclo. È stata applicata per il limone verdello, chiaramente la qualità va nel dimenticatoio.

Che ne pensi di questo articolo?

Questo sito utilizza cookie tecnici per il suo funzionamento ed il miglioramento dell’esperienza utente e non fa uso di cookie di profilazione. Proseguendo nella navigazione o accettando la presente informativa, presti il consenso all’utilizzo dei cookie tecnici.

Clicca qui per leggere la nostra Cookie Policy