Se, la settimana scorsa, avete letto Il divino ristoratore, non perdetevi questa “seconda puntata”, dedicata sempre al malcapitato che arriva in un “divino ristorante”, o magari un ristorante stellato. Cupole volanti nel divino ristorante.
Ecco i primi antipasti giungere su un enorme vassoio, coperti da un’altrettanto enorme cupola d’argento. I camerieri li dispongono sul tavolo, si guardano negli occhi e a un cenno del primo, in perfetta sincronia, scoperchiano il capolavoro d’apertura della serata: mentre il piatto appare in tutta la sua conturbante bellezza, il capo, quello che aveva dato il via agli scoperchiamenti, recita “Capesante e gamberi di fiume ai sedani e mirtillo rosso con profumo di aceto al lampone”, esattamente come era scritto nel menù.
Il piatto che è un quadro
Il piatto è un quadro, le capesante sono due, i gamberi di fiume addirittura tre, i sedani probabilmente quella serie di bastoncini disposti a raggiera, il mirtillo rosso quella pallina al centro (ah! che fatica destreggiarsi tra singolari maiestatis e singolari numerici!) e il profumo di aceto al lampone quella bella macchietta bruna defilata quasi ai limiti del tondo del piatto, tangente al filo d’oro che lo incornicia.
Ci si trattiene a malapena dall’applauso, temendo che lo spostamento d’aria faccia volare via dal piatto quel poco che vi è così artisticamente disposto, e nasce, comunque, immediatamente, il problema se non sia il caso di fare una fotografia e passare direttamente al piatto successivo, che, tutto sommato, promette bene: “Tortelloni di piccione ai pistilli di zafferano”.
Nell’attesa vi lasciate andare allo scempio di quel capolavoro di antipasto, assaggiate un gambero, mordicchiate un sedano, sgusciate una delle due capesante, accompagnando il tutto con quei meravigliosi pezzetti di dieci diversi tipi di pane, tanto buoni quanto rapidi a finire (e non ve li riporteranno più!).
Finché la scena delle cupole d’argento si ripete e restate di ghiaccio: il tortellone è uno solo, e nemmeno tanto “one”. Ma perché, allora, sulla carta era scritto al plurale? Se aveste il coraggio di esternare questa obiezione vi risponderebbero (ancorché vi rispondessero) che si tratta di licenza poetica.
Una furtiva scarpetta
Non vi resta che avventarvi su quel meraviglioso, saporito, conturbante tortellone, raccogliendo con cura ogni pistillo di zafferano e facendo accuratamente (cercando di non farvi vedere) la scarpetta con le poche briciole di pane che riuscite a raccogliere qua e là sulla tovaglia.
Vi soffermate a meditare che vi mangereste un bue di traverso quando – sorpresa! – ecco arrivare in tavola, inatteso, il sorbetto, quella arguta invenzione che permetteva ai commensali dei pantagruelici banchetti dei secoli passati di non interrompere esausti il pasto dopo le prime dieci portate, ma continuare per altre dieci e dieci ancora. Il freddo che invade la pancia tramite il sorbetto, infatti, ha proprio la funzione di ingannare lo stomaco strapieno e che comincia ad urlare “basta! non ce la faccio più!”, e fargli accettare di buona lena l’arrivo di nuove portate.
Ingurgitate il sorbetto, quindi, e vi sentirete ancor più leggeri di prima, pronti a qualunque ulteriore stravizio gastronomico in cui il “divino ristoratore” vi vorrà coinvolgere.
Liberamente tratto da “RuvidaMente.com”, per gentile concessione dell’autore Stefano Milioni: https://www.milioni.com/controcucina/il-divino-ristoratore/