Il Sauvignon è un vino apprezzato dai consumatori di tutto il mondo, forse perché i suoi profumi sono inconfondibili e variegati.
Ci sono pochi vini amati e odiati, quindi divisivi, come i vari Sauvignon in tutto il mondo. Intanto, vediamo di cosa si tratta. Il Sauvignon Blanc è un vitigno di origine bordolese. Incrociandosi con il Cabernet Franc ha dato origine al Cabernet Sauvignon, secondo gli studi fatti all’Università di Davis, in California.
Così in Francia
A Bordeaux, soprattutto nella zona delle Graves e di Entre Deux Mers, viene vinificato quasi sempre con un pizzico di Semillon, e spesso fatto maturare per qualche mese in barrique. Ne scaturiscono talvolta vini di ottima struttura, come Domaine de Chevalier, Haut Brion Blanc, Chateau Carbonnieux. In questi casi le caratteristiche del vitigno, che, come tutte le varietà “atlantiche” contiene pirazine e ha capacità di formazione di tioli e di mercaptani in fermentazione, sono più sfumate e meno “vegetali”.
Nelle zone francesi di Sancerre e di Pouilly Sur Loire (da dove proviene il Pouilly Fumé), le note tioliche sono più evidenti e si manifestano con sentori leggermente solfurei e solo appena vegetali, il tutto sostenuto da un’ottima acidità. Vini come il Silex del compianto Didier Dagenau, ma anche il Baron de L, sono stati e sono tuttora famosissimi.
…e in Austria
In Stiria, regione austriaca, produttori come Tement, Gross, Polz, hanno proposto dei Sauvignon complessi e sfaccettati, con qualche accenno di sambuco e di ortica. Insomma, per i grandi esperti questi sarebbero i vini da uve Sauvignon da prendere in considerazione.
Come vedete, quello che è in discussione è il carattere un po’ vegetale, erbaceo, con sentori addirittura di pipì di gatto, “pirazinici” e un po’ “mercaptanici”, che vengono addirittura considerati dei veri e propri difetti, e un segnale di rusticità.
Nel Nuovo Mondo
Peccato, però, che da un paio di decenni il favore di una considerevole parte del mercato internazionale privilegia anche altro. In Nuova Zelanda, a Marlborough, in particolare, ci sono dei Sauvignon dai chiari profumi di frutta esotica, con freschezze acide notevoli e talvolta con piccoli residui zuccherini, che hanno conquistato molti consumatori, soprattutto in Gran Bretagna e negli Usa, ma non solo.
Su questa stilistica, poi, produttori australiani, cileni, sudafricani e californiani hanno fatto cose simili. Qualcuno si è anche ispirato a uno stile più bordolese, ma si tratta di casi abbastanza isolati.
E da noi?
Bene, siamo come spesso accade a metà del guado. Ne esistono di tutti i tipi, soprattutto nel Nord Est, in Friuli Venezia Giulia, in Veneto, in Trentino e in Alto Adige, con qualche esempio anche sui Colli di Parma e in Toscana.
Friuli Venezia Giulia
Produttori come Venica, Vie di Romans, Volpe Pasini, Butussi, Tiare, Villa Russiz, Russiz Superiore, per fare degli esempi, hanno proposto in Friuli interpretazioni molto interessanti di Sauvignon. Con stili di vinificazione diversi. Venica con il Ronco delle Mele, maturato in legno, più bordolese, Vie di Romans più Loire, Butussi con qualche ispirazione neozelandese. Varietali, riconoscibili, a volte un po’ vegetali, e questo scatena polemiche.
Alto Adige
Stessa situazione in Alto Adige, con Colterenzio e il suo Lafoa, ma anche The Wine Selection di San Michele Appiano piuttosto “bordolesi”. Molto Loire Gumphof, soprattutto con il Reinassance, mentre trovo originali e particolarmente felici il Quarz di Terlano e il Mantele di Nals-Margreid. Anche qui ne cito solo alcuni a mo’ di esempio, senza la pretesa di aver esaurito l’argomento.
Il punto resta lo stesso. Il Sauvignon è un grande vitigno dal quale si possono ottenere grandi vini? A mio parere sì. Certo, l’eccesso di note vegetali, soprattutto “piraziniche” che lo fanno riconoscere anche dai non esperti, non sono il massimo dell’eleganza e vanno quanto più possibile gestite in modo intelligente.
Ma dare ascolto ai consumatori, che spesso trovano i Sauvignon particolarmente piacevoli è altrettanto importante. Per non far sì che la critica “seria” non si distacchi troppo dal gusto generale e ne risulti perciò sempre più estranea.
2 commenti
All’inizio della mia passione vinosa il sauvignon era un vitigno feticcio, come detto anche nell’articolo rappresentava un porto sicuro, sapevi cosa aspettarti e le tue aspettative erano quasi sempre confermate. Soprattutto sui sauvignon che bevevo di più allora, ovvero i sauvignon friulani.
Poi ho scoperto la Loira ma anche qui dopo un primo innamoramento l’amore è svanito (in favore delle chenin, in Loira).
Quelli del nuovo mondo? Non mi piace per nulla la “dolcezza esotica” del naso rispetto ad un sorso acido spesso poco coerente con quanto promesso all’olfatto.
Resta comunque un vino identitario e riconoscibile e questo è un senz’altro un pregio.
È un peccato che l’intuizione Veronelliana del battesimo di ogni vino col nome del vigneto e dunque come espressione del territorio sia presente, ma non totalizzante.
Davvero esistono vitigni autoctoni come va di moda sottolineare diu questi tempi?
Non è meglio concentrarsi sul territorio?
Il rischio è che vuoi sia un Sauvignon a un centesimo in meno e così via…
Unicuique suum, come è scritto sulla testata de l’Osservatore Romano.
Scelgo quel vino di quel vigneto e di quel vignaiolo, non perché è un c.d. autoctono o un Sauvignon…