Mas que nada, ossia meglio di niente. Ci riferiamo al sistema delle Doc, che sarà anche imperfetto, ma tutela l’interesse dei consumatori oltre che la concorrenza tra produttori.
“Il sistema delle regole del vino esiste da oltre mezzo secolo, e guarda caso è stato in vigore durante la più incredibile espansione di creatività e di mercato della storia del vino italiano. Ergo, non ha penalizzato una cippa di nulla. A volte bisognerebbe stare attenti all’eterogenesi dei fini, la libertà assoluta è una bellissima utopia che però ha un problemino, piccolo piccolo, giusto un cincillino, lascia campo liberissimo ai furbi. Le pare che in Italia ce ne siano pochi?”
Questo ragionamento con il quale concordo al 100%, lo ha pubblicato su Intravino Stefano Cinelli Colombini, noto produttore di Brunello di Montalcino, rispondendo a chi sosteneva la necessità di una liberalizzazione dei sistemi di denominazione dei vini in Italia. Gabbie troppo strette e che non consentivano ai produttori di poter sperimentare e guardare al futuro.
Un mondo senza Doc
Secondo me, invece, ha perfettamente ragione Cinelli Colombini, e vorrei anche approfondire la questione. Poniamo che il sistema delle Doc (che, ricordo, sono disciplinari condivisi nell’UE e riconosciuti anche in molti Paesi al di fuori dell’Europa) venisse smantellato, quali sarebbero gli effetti?
Innanzi tutto, che il potere del marchio, del “brand”, diventerebbe molto più importante e decisivo. Chi se ne gioverebbe? Ovviamente chi ha la forza e la possibilità di utilizzarlo in modo efficace, cioè le aziende più grandi, in Italia e soprattutto nel mondo. Penso a Gallo, Constellation, Beringer & Blaas, Penfold’s, che già lo fanno benissimo e che non avrebbero più la concorrenza di Doc e Aoc, utilizzate come biglietto da visita da centinaia di migliaia di cantine medie e piccole. Poi sarebbe un “liberi tutti” che qualcuno utilizzerebbe in modo sensato, molti altri invece no, proprio come sostiene Cinelli Colombini.
Senza regole, niente controlli
In più, i disciplinari di produzione, che sono leggi dello Stato, contengono regole e consentono perciò i controlli da parte degli enti pubblici che li devono fare. Nas, Guardia di Finanza, Carabinieri Forestali, Asl, solo per citarne alcuni. Senza protocolli produttivi, senza regole, i controlli sarebbero impossibili perché mancherebbero le basi sulle quali effettuarli.
Non si tratta solo di tutelare la concorrenza fra produttori, ma anche l’interesse dei consumatori, cosa che in genere non viene considerata abbastanza, a mio avviso. Poi, è vero, molti disciplinari non sono così efficaci, sono sicuramente frutto di compromessi fra gli interessi talvolta confliggenti fra viticoltori e imbottigliatori, hanno maglie troppo larghe od obsolete. Tutto vero, ma, come cantava il grande Sergio Mendes, “mas que nada” (“meglio di niente”).
4 commenti
in due parole , i Consorzi sono stati e sono la rovina dell’Italia del vino, spillano solo soldi per i loro interessi di rimanere a galla, non tutelano, non (possono) controllare e permettono la qualsiasi ai produttori, specie se grandi. I controlli sono fatti UNUCAMENTE da Valor Italia, che sostituisce la RRFF, ma che ha poco personale e poco preparato.
Erik Banti
Considerazioni molto interessanti e condivisibili a partire da un incipit impreciso, dove “Mas que nada” sta per “ma dai”, “ma certo” o “figurati” , almeno in portoghese, lingua madre di Sergio Mendes e titolo de un brano di Jorge Ben Jor, noto cantautore brasiliano.
Esattamente Terry, è volutamente così il titolo. Come nella locandina dell’immagine di apertura.
Piccola la vigna, grande il vino, scriveva Luigi Veronelli. E puntualmente recensiva soprattutto vini da singola Vigna, cru, solatio et similia.
Il legislatore ha introdotto le MGA e le UGA, ulteriore passo avanti.
Certo le rese per ettaro di molto disciplinari andrebbero ridotte, specie uin tempi di magazzini pieni e di siccità.
È vero che il sistema dei controlli non funziona e che sarebbe utile un’autorità apposita di natura pubblicistica, magari regionale secondo la moda attuale.
Concordo pienamente dunque sulla valutazione positiva del sistema delle DOP.
Forse andrebbe meglio precisata la funzione delle IGP, dedicata alla sperimentazione di nuovi modelli più che a indicazioni di provenienza senz’anima.
Tommaso d’Aquino insegnava che è il tempo qualitativo che conta, non il quantitativo.
Chi scrive e la rockstar Madonna sono più o meno dello stesso tempo quantitativo, con riferimento all’anno di nascita, ma non andiamo dallo stesso sarto.
Sarebbe bene che una guida QUALITATIVA come quella che Lei dirige scopasse fuori i vini con i nomi di fantasia.
Con buona pace dei creativi, il nome del vino è quello della sua vigna.
Che usino nomi di fantasia gli imbottigliatori è comprensibile, che lo facciano i vignaioli masochista.