I vini di Luciano Sandrone rispecchiavano il suo carattere mite, l’uomo gentile e sorridente che era, la persona che non voleva insegnare nulla, ma solo fare vini che dessero conto della loro origine, con una tecnica pulita e precisa.
Un altro vecchio amico che se n’è andato. Luciano Sandrone era un uomo riservato e che stesse male non lo sapeva nessuno, quindi la sua scomparsa è stata qualcosa di inaspettato e se possibile di ancora più triste.
Lo conoscevo dal 1982, me lo presentarono Carlo Petrini e Gigi Piumatti che a quell’epoca si occupavano della distribuzione dei suoi vini, e quelli di Elio Altare e di Bartolo Mascarello, per conto della Cooperativa I Tarocchi dalla quale nacquero in seguito prima Arci Gola e poi Slow Food. Pensate che il mio primo incontro con Carlin fu all’esterno dell’enoteca Cavour 313, mentre scaricava proprio i vini di Sandrone dal furgone che aveva guidato da Bra a Roma per trasportarli. Li assaggiammo, con Andrea Gabbrielli che all’epoca era fra i titolari dell’enoteca, trovando strepitoso il Dolcetto dell’81, che in breve divenne uno dei vini di riferimento per quell’enoteca.
Poi lui era a Barolo e iniziava a fare Barolo, con le tecniche innovative tipiche del gruppo dei cosiddetti Barolo Boys. Gli altri, Clerico, Altare, Rivetti, in particolare, dicevano di lui che non sbagliava mai, che i suoi vini erano perfetti. Aveva in particolare un vigneto, quello di Cannubi Boschis, e dalla vendemmia del 1984, che non fu granché ma che lui interpretò in modo sorprendente, cominciò a metterne in etichetta il nome, creando un cru destinato a divenire leggendario.
La versione del 1989 fu straordinaria. Ne scrissero i maggiori critici internazionali, Parker la santificò, e anche noi sulla guida Gambero Rosso/Slow Food la premiammo e la commentammo con parole molto sentite. D’altra parte i vini di Luciano rispecchiavano il suo carattere mite, l’uomo gentile e sorridente che era, la persona che non voleva insegnare nulla, ma solo fare vini che dessero conto della loro origine, con una tecnica pulita e precisa. Le caratteristiche dei vini dei Cannubi, tra i più equilibrati nell’universo barolista, erano perfette per lui.
Era qualche anno che non lo vedevo, l’ultima volta fu a un Vinitaly pre pandemico e mi spiegò che dal 2013 aveva tolto dal Barolo il nome del vigneto per dedicarlo ai nipoti Alessia, Luciano e Stefano, da cui l’acronimo Aleste che mantiene tuttora. Restava un vino magnifico, equilibrato ed elegante, sorridente, proprio come era lui. Ciao Luciano.