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L’inflazione delle eccellenze

inflazione delle eccellenze

Ogni tanto mi capita di rileggere dei vecchi editoriali che mi sembrano ancora davvero attuali. Questo è uno di quelli.

Uno degli aspetti francamente noiosi e retorici della politica italiana quando si parla di agroalimentare è l’uso pletorico e fastidioso della parola “eccellenza”. E se un tempo si usava solo per definire gli ambasciatori oggi tutto diventa “eccellenza” se serve a condire discorsi vuoti di contenuto. Come se una parola del genere, quasi per magia, facesse diventare sostanza ciò che invece spesso è solo un politichese povero e ripetitivo. 

Le eccellenze nel settore dell’agroalimentare, e del vino in particolare, sono in genere poche e ben conosciute. Neanche tutti i vini a Docg sono “eccellenti”, nonostante la legge, al suo esordio, condizionasse l’attribuzione della massima fra le denominazioni italiane solo ai vini riconosciuti di “particolare pregio”. Si partì abbastanza bene, con Barolo, Barbaresco, Brunello di Montalcino e Vino Nobile di Montepulciano. Poi arrivarono il Chianti, l’Albana di Romagna, l’Asti e tanti altri vini che non sono di per sé malvagi, ma che con difficoltà si possono definire “eccellenze”. 

Forse il Legislatore ha ritenuto di dover tutelare larghe fasce di consumatori, che hanno il diritto di accedere a vini la cui filiera sia ben controllata, più che di garantire il dichiarato “particolare pregio”, e questo si può anche capire. Certo, basterebbe dirlo più chiaramente, ma forse è volere troppo. 

Ma dove le cose sfiorano il grottesco è quando qualunque prodotto, qualunque vino, diventa “eccellenza” solo per motivi elettorali, determinando valanghe di denominazioni inutili e valanghe di discorsi esaltatori che somigliano molto a quello della “Corazzata Potemkin” di fantozziana memoria. 

È vero, in Italia ci sono tanti prodotti buoni e tipici, alcuni solo buoni e piacevoli, altri vere “eccellenze”. Se non si riuscirà a creare una gerarchia credibile, se tutto sarà esaltato come straordinario otterremo due risultati. Il primo è che qualcuno un giorno o l’altro comincerà a dire che il re è nudo, e che magari un buon prodotto industriale potrebbe essere migliore di un “falso eccellente”. Il secondo, che ne è conseguenza, è che le persone non ci crederanno più. Con buona pace del made in Italy e dell’inflazione delle “eccellenze”.

5 commenti

Antonio 19 Agosto 2024 at 12:58

Assolutamente d’accordo. Doctor wine non poteva essere più chiaro di così. Questa esaltazione italica dove tutto è eccellenza solo per il fatto di essere prodotto in Italia è semplicemente ridicolo, nel mondo del vino, si conoscono benissimo le eccellenze, ma ormai tutti sono convinti di produrre vini eccellenti, quando al 90% sono semplicemente nella norma o più che sufficienti.

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Patrizia 19 Agosto 2024 at 15:55

Acuta e ahimè cruda rappresentazione del metastatico dilagare di definizioni, premi, sigle e, chi più ne ha, ne metta.
Speculare a questa selva di titoli è la sempre vasta platea di consumatori che garantiscono un mercato a prodotti generici o artefatti, segnale di un gusto alimentare che è di fatto in enorme difficoltà nel riconoscere la qualità e la vera identità di un vino o di un alimento. Servirebbero meno chiacchere e più cultura , meno spot e più cura, ma qui si apre un fronte infinito….

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Riccardo Cannistraci 22 Agosto 2024 at 8:29

Preciso, oggettivo e ben articolato, come sempre.

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Francesco 23 Agosto 2024 at 17:44

Non fa una grinza. Potrebbe essere traslato nel mondo sanitario, dove si confezionano quotidianamente graduatorie sugli ospedali di eccellenza, quando la Politica dovrebbe dedicarsi di più a garantire la sufficienza nei 1300 presidi ospedalieri del nostro Servizio Sanitario.

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alberto Melagrana 26 Agosto 2024 at 12:01

seguo sempre con grande passione quello che scrive il dot. Cernilli ed anche in questo caso mi trovo pienamente d’accordo con quello che asserisce sulle eccellenze italiane e sulle DOCG c’è ne sono ormai tante è quasi giungla.

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