Da qualche tempo, dopo un periodo nel quale i vini friulani erano un po’ passati di moda, l’interesse del pubblico per molti di loro sta riprendendo in modo molto evidente.
Il Friuli Venezia Giulia è una piccola regione del Nord Est dell’Italia, ma è contemporaneamente una cerniera fondamentale fra popoli e culture. Ci sono i Friulani, ovviamente, ma anche genti di origine veneta, slovena, persino austriaca. I Carnici sono strettamente imparentati con i Ladini e da sempre quei territori sono stati un punto di contatto fra etnie diverse e fra le loro tradizioni.
Tra queste c’è da secoli anche la viticoltura e la produzione di vino, che da queste parti è una delle attività più importanti in ambito agricolo. È favorita da un clima particolarmente vario, se consideriamo il fatto che il territorio coinvolto non è enorme. C’è però da considerare che anche da questo punto di vista il Friuli Venezia Giulia è un punto di contatto fra aree climatiche diverse fra loro. Il Golfo di Panzano, la Laguna di Marano, sono le zone più settentrionali del Mare Adriatico, ma anche dell’intero bacino del Mediterraneo, e sfiorano i 46° di latitudine nord, ben al di sopra di Bordeaux, per fare un esempio.
Appena lasciato il mare si apre la pianura delle Grave del Friuli, fra il Tagliamento e l’Isonzo, con diverse denominazioni di origine comprese nella grande Doc Friuli, che si articola in Grave, Annia, Latisana, Aquileia, Isonzo e una piccola porzione di Lison-Pramaggiore, una Docg che è in condivisione con il Veneto. Ad est ci sono invece le aree collinari dei Colli Orientali e del Collio, con specifiche sottozone addirittura a Docg, come Ramandolo e Rosazzo, ma non solo. E infine il Carso triestino, una zona che si sta facendo conoscere meglio negli ultimi anni con produzioni piccole ma molto caratterizzate.
Proprio in queste zone il clima cambia con una certa velocità, e i ricordi di ambienti mediterranei, seppure settentrionali, s’incontrano con quelli dell’Europa Centrale, più continentale, determinando differenze formidabili che poi si ripercuotono sulle caratteristiche dei vari vini.
Anche le tipologie di uve coltivate spesso cambiano, e in certe zone, e persino sottozone delle principali denominazioni, ci possono essere differenze anche marcate. Anche se non palesemente dichiarate nei disciplinari, chi conosce i vini del Friuli Venezia Giulia sa bene che in certe zone il Pinot Bianco è particolarmente apprezzabile, in altre la Ribolla Gialla, in altre ancora il Friulano o la Malvasia Istriana o persino alcune varietà rosse come Refosco, Schioppettino, Pignolo e Merlot.
Questo perché la base ampelografica della regione è vasta e sfaccettata, e le tipologie di vino che si possono produrre sono moltissime. Di certo i vitigni tradizionali, se non autoctoni, sono in maggioranza. La Ribolla Gialla, che esiste da quasi un millennio, sta avendo un grande successo, il Friulano rappresenta una tradizione indiscutibile. Ma anche varietà cosiddette “internazionali”, patrimonio di acquisizioni comunque vecchie di molti decenni se non di secoli, sono molto importanti. Se andrete per un “tajut” (un bicchiere di vino sfuso, in genere un ottavo di litro) in un’osteria friulana, spesso vi serviranno un Merlot, ottenuto da un vitigno non autoctono, ma presente e diffuso da più di cent’anni. Il Sauvignon è forse più recente, ma attualmente si esprime in Friuli Venezia Giulia come in poche altre parti del mondo, per qualità e caratteristiche specifiche.
Tutto questo per dirvi che da qualche tempo, dopo un periodo nel quale i vini friulani erano un po’ passati di moda, l’interesse del pubblico per molti di loro sta riprendendo in modo molto evidente. Il Friuli, che negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, era considerato da molti come una sorta di Langa bianchista, che aveva in Luigi Veronelli uno dei suoi mentori, che ha espresso viticoltori e produttori del calibro di Gravner, Schiopetto, Jermann, i Felluga, i Venica, sta riconquistando il posto che aveva avuto in passato. E questa è una buona notizia per il vino italiano nel suo complesso.