I principi basilari del movimento conosciuto come nouvelle cuisine sono diversi da quello di cui oggi spesso si blatera, confondendo un movimento che proponeva una critica e un superamento della cucina francese classica con un nebuloso concetto di cucina creativa, intesa in senso negativo. Ma per alcuni versi il manifesto della nouvelle cuisine si avvicina alla nostra cucina regionale.
- “Utilizzerai prodotti freschi e di qualità.”
- “Alleggerirai il tuo menù.”
- “Non sarai sistematicamente modernista.”
- “Ricercherai tuttavia il contributo di nuove tecniche.”
- “Eviterai marinate, frollature, fermentazioni, ecc.”
- “Eliminerai le salse e i sughi ricchi.”
- “Non ignorerai la dietetica.”
- “Non truccherai la presentazione dei tuoi piatti.”
- “Sarai inventivo.”
- “Non cuocerai troppo.”
Quelli che leggete qui sopra sono i dieci comandamenti della cosiddetta nouvelle cuisine, una sorta di manifesto ideato dai famosi critici gastronomici francesi Henri Gault e Christian Millau nel 1972. Perché ve li ricordo? Perché a voi come a me sarà capitato mille volte di sentire qualcuno, cuoco, gastronomo, appassionato, ma anche persone comuni, affermare di essere fieramente a favore della tradizione e fortemente contrario alla nouvelle cuisine, facendo una gran confusione e assimilando quel nome, francese e quindi in qualche modo “sofisticato” (altro luogo comune evidentemente), come se fosse un sinonimo di “cucina creativa”. È un po’ come se noi considerassimo il movimento surrealista o il cubismo come unici rappresentanti dell’arte non figurativa.
Questo perché la nouvelle cuisine è stato un movimento preciso, ha avuto un inizio, con i “comandamenti” di Gault e Millau, e ha avuto una fine, più o meno alla fine degli anni Ottanta, quindi non proprio ieri. Ha avuto dei grandi protagonisti, come Michel Guerard, Paul Bocuse, Alain Chapelle, Freddy Girardet, da noi probabilmente Gualtiero Marchesi. È stato sicuramente alla base di un mutamento teorico e tecnico nella cucina internazionale, ma fu altra cosa dalla cucina molecolare o dalla fusion, che non sono assimilabili ad essa perciò. Però nella furia misoneista di qualcuno nouvelle cuisine è come il male assoluto, è contro la “vera” tradizione e quindi va bollata d’infamia.
In realtà la sua nascita traeva spunto dall’esigenza di andare oltre la paludata cucina francese classica, quella di Escoffier per intenderci, che si basava su lunghe cotture, salse madri usate in abbondanza e una sostanziale sottovalutazione della materia prima sacrificata sull’altare di tecniche di cucina elaborate che la dovevano addirittura nascondere. Se leggiamo bene alcuni dei “comandamenti” invece troviamo proprio il contrario di tutto questo e il primo di essi dice proprio “utilizzerai prodotti freschi e di qualità”, premonizzando in qualche modo il “chilometro zero” e una cucina basata sui prodotti del mercato locale.
Luigi Veronelli, al quale Gault e Millau non erano simpaticissimi, diceva spesso che per i francesi era un’esigenza quella di teorizzare la nouvelle cuisine visto che la loro tradizione gastronomica si basava sull’evoluzione della cucina nobiliare pre rivoluzionaria, mentre per l’Italia la cucina regionale era già una nouvelle cuisine perché si basava su materie prime locali e su tradizioni molto più popolari. Poi anche da noi è arrivata la tecnologia, alcune esagerazioni nel “rivisitare” talvolta senza capire bene cosa, e ci siamo dimenticati i principi di quella che oggi bolliamo come qualcosa di negativo e che forse tanto negativa non è.