L’immagine del vino, dei territori dai quali proviene, della cultura ad esso legata, è in discussione e la stampa di tipo generalista, che nel suo insieme raggiunge milioni di persone, non aiuta la crisi del vino.
Parlando con un famoso giornalista “generalista” e facendogli presente che forse il mondo del vino avrebbe bisogno di una stampa meno ostile, mi sono sentito rispondere alcune cose spiazzanti. Certo, mi ha detto, però c’è da dire che il comparto del vino non investe quasi nulla in comunicazione e in pubblicità. Perché un editore dovrebbe favorire servizi specifici se poi non ottiene nulla in cambio?
Comunicazione e pubblicità latitano
Un discorso complesso, forse impopolare, persino scivoloso. Sta di fatto che il vino non è più un argomento che “tira” se non per criticarlo. Se ci fate caso nelle principali trasmissioni gastronomiche non se ne parla più. La prova del cuoco aveva i sommelier che spiegavano il vino, si parlava di abbinamenti, in È sempre Mezzogiorno neanche una parola. Niente su Masterchef, quasi niente nei programmi di Borghese, non ne parla Benedetta Rossi, ne parla molto meno di prima il Gambero Rosso Channel. Davide Rampello e Paolo Marchi su Striscia la Notizia molto raramente. Sulla carta stampata stessa storia. Le rubriche su quotidiani e settimanali sono state drasticamente ridotte.
L’argomento vino, e alcolici in genere, è difficile da trattare, perché è in atto un attacco concentrico al settore, per i motivi che sottolineavo nei precedenti editoriali, ma anche perché il vino non comunica adeguatamente, anche sotto il profilo degli investimenti in pubblicità. Perché, parliamoci chiaro e in modo non ipocrita, ogni testata non vive semplicemente delle vendite, ma essenzialmente di altro, pubblicità in primis. Non dico che piccoli produttori debbano svenarsi per fare pubblicità, ma che gruppi di produttori, consorzi, assessorati all’agricoltura debbano porsi anche questo problema, perché esiste.
È cambiato il vento del comune sentire
Non sto battendo cassa per me, evidentemente. DoctorWine è una piccola realtà e va piuttosto bene, ma non ha la forza di per sé di spostare più di tanto un comune sentire non più positivo come in passato, anche se qualche bella manifestazione riusciamo ancora a farla con un buon successo. Non ci riescono come prima neanche grandi testate internazionali di settore, peraltro. La questione è legata alla comunicazione “generalista”, appunto, che si occupa sempre di più di ricette, di prodotti alimentari, e molto meno di vino.
Sono in trincea le grandi associazioni come Ais, Onav, Fisar, Fis, Slow Food, che cercano di fare informazione, divulgazione e cultura del vino, e che stanno anche facendo evolvere la loro comunicazione. Alcuni importanti consorzi, il Vinitaly, e pochi altri soggetti cercano anche loro di fare il possibile. Sui grandi siti, come Dagospia, qualche volta Cristiana Lauro scrive articoli divulgativi ben fatti, ma non c’è molto.
Più facile criticare che divulgare
Gli argomenti principali per i quali si scrive o si parla di vino sono per criticarlo. Fa male, costa troppo, la produzione è poco trasparente, le Doc sono pagliacciate e via discorrendo. Finché non ci sarà una presa di coscienza da parte dei principali protagonisti del settore non se ne verrà fuori. L’immagine del vino, della sua tradizione millenaria, dei territori dai quali proviene, della cultura ad esso legata, è in discussione come forse dopo la tragedia del metanolo.
Spero di sbagliarmi, ma non sono troppo ottimista.
3 commenti
Ottima riflessione! Ringrazio per la citazione maestro.
ottima analisi… come si fa a non essere d’accordo.
Da operatore del settore alimentare per la ristorazione vivo il mondo del vino, che non fa parte del mio pacchetto d’offerte , di riflesso ma comunque l’aria repressiva nei confronti di questo alimento sta condizionando l’itero comparto.
Come già detto ottima analisi del problema e del momento.