Ormai il termine è entrato nell’immaginario collettivo. Per molti è sinonimo di “autentico”, per cui termini come un Romano Doc, un Milanese Doc, alludono proprio a questo. Ma vediamo cos’è nella fattispecie la Doc o, meglio, le Doc.
Sono disciplinari di produzione legati al comparto del vino. La prima legge che le ha istituite è la 930 del 1963. Le prime però sono state promulgate nel 1966, solo sette se ricordo bene. Oggi sono diverse centinaia e definiscono territori e sistemi di produzione in tutte le regioni italiane. Nel 1980 sono state affiancate dalle Docg, che oltre alla denominazione di origine contengono anche una “garanzia” dello Stato con un controllo della filiera di produzione particolarmente attenta.
Negli anni, e da più parti, sono arrivate molte contestazioni a questo sistema. Si è detto che non garantiva la qualità, che c’erano troppe denominazioni, che, sostanzialmente, si trattava di orpelli burocratici. C’è un po’ di vero in tutto questo. Però le Doc e le Docg hanno consentito lo sviluppo della vitivinicoltura qualitativa in modo evidente, hanno determinato dei protocolli produttivi che hanno poi consentito i controlli, cosa molto importante, e quasi tutti i Consorzi sono figli delle Doc. Poi non sono disposizioni calate dall’alto. I produttori di una zona a Doc decidono le regole a maggioranza; quindi, la legge ne prende quasi solo atto.
Compromessi? Certo, come per tutte le leggi e come accade normalmente in democrazia. Perfettibili? Ovviamente sì. Sono troppe? Sicuro. Pensate che 80 Doc “coprono” il 90% della produzione regolamentata. Oltre 400, considerando anche le Igt, solo il 10%. Perché molte denominazioni sono state assegnate per motivi di politica locale perché, se hai la Doc non devi accedere alla distillazione obbligatoria per le eccedenze, sono solo esempi.
Detto questo anche minuscole Doc hanno avuto un ruolo importante. Faro, Mandrolisai, Terreni di San Severino, Leverano, Carema, Ramandolo. Infine, prima delle Doc la gran parte dei vini italiani oggi famosi erano solo piccole produzioni locali. Uno per tutti, il Brunello di Montalcino. Quindi a fronte di alcuni limiti evidenti, questioni come la possibilità di controlli, l’evoluzione della tecnica viticola, la nascita di molti Consorzi e lo sviluppo di una produzione di qualità migliore e diffusa sono cose che non possono essere dimenticate.
Scrivendo il libro “Sulle tracce del Gallo Nero” dedicato al centenario della nascita del Consorzio del Chianti Classico e del simbolo che poi ne è diventato icona, ho avuto modo di approfondire la nascita fra mille battaglie del sistema delle Doc in Italia e di conoscere meglio personaggi come Giovanni Dalmasso, Paolo Desana, Italo De Lucchi. Per decenni hanno cercato di trovare il modo per tutelare e promuovere i migliori vini italiani. A gente come loro il nostro mondo deve parecchio.
3 commenti
Penso proprio che questo articolo fosse necessario, per schiarirsi le idee.
Dovreste farlo circolare, se la gante del vino sa di he cosa si tratta, al di fuori forse non tutti sanno.
Ritengo anch’io che siano troppe, ma non vanno in parte eliminate, ma forse concentrate.
Sono essenziaali per la tutela del vino italiano.
Grazie.
Spero proprio di trovare questo libro. Leggendo siti italiani di vario tipo sull’argomento, il nome che salta fuori di piu’ e’ quello di Arturo Marescalchi ,grande conoscitore di vini, scrittore e ministro dell’agricultura durante il ventennio, il quale non riusci’ nell’impresa di creare un disciplinare. Fu invece il Democristiano paolo DEsana, suo amico e conterraneo, di ritorno dai campi di concentramento nazisti, che nel dopo guerra riusci’ a convincere i colleghi parlamentari (quelli del Sud Italia erano i piu’ reticenti) sull’importanza di tutelare i nostri vini dalle frodi e manipolazioni che ai tempi regnavano sovrane. Sarebbe interessante sapere anche come le leggi di tutela dei nostri Vini Tipici evolvera’nno nelle varie leggi di tutela dei vini di origine, come il Sig Cernilli ha espresso brillantemente nel suo recente intervento al Festival di Pistoia.