Il mondo del vino italiano è fatto soprattutto da piccole e medie imprese che non possono competere a livello di numeri con i colossi mondiali. La carta vincente è lo stretto legame con la zona di origine, con le relative attività di promozione territoriale e di accoglienza.
A pochi giorni dalla fine di questo complicato 2022 mi sembra opportuno dare uno sguardo e fare qualche previsione su quello che attenderà il mondo del vino nel nuovo anno. Per ora, tutto sommato, le cose non sono andate troppo male. Nonostante una guerra terribile, la coda della pandemia, la crisi energetica, un’inflazione a due cifre e un sacco di problemi ad esse connessi, l’export ha tenuto bene e il consumo interno anche.
Certo, in alcuni Paesi le cose sono difficili. In particolare in Germania, che – lo ricordiamo – con oltre il 20% del fatturato è il secondo mercato per l’esportazione dei vini italiani, dopo gli Usa che però vanno alla grande.
Le grandi incognite nel 2023 saranno però anche altre. Prima di tutto i costi e la reperibilità di molte materie prime, energia soprattutto. Poi cosa accadrà nell’Unione Europea con un atteggiamento proibizionista neanche tanto strisciante nei confronti delle bevande alcoliche, vino soprattutto, che potrebbe creare un sacco di guai, con il preciso intento di limitare consumi e promozioni sui mercati interni e internazionali. Temi piuttosto centrali, che magari non suscitano grandi interessi da parte dei consumatori finali, almeno per il momento, ma che minacciano un comparto che coinvolge centinaia di migliaia di persone, se non milioni, tra produttori, lavoratori e indotto.
Vorrei sommessamente ricordare che il mondo del vino non ha, inoltre, solo un valore per la produzione in senso stretto. Ne ha per la gestione e la cura di territori e di paesaggi. Pensate solo che in Italia ci sono 6.000 Kmq di vigneti, che se fossero messi tutti insieme occuperebbero una superficie più grande della Liguria. Questo significa che rappresentano anche una peculiarità del nostro Paese, e non solo la fucina di molti milioni di bottiglie con variopinte etichette e che provengono dai più disparati luoghi d’Italia.
Ovviamente sono anche una notevole realtà dal punto di vista economico, con più di 15 miliardi di fatturato annuo che diventano molti di più se consideriamo l’impatto che il vino ha sulla ristorazione, l’accoglienza e il turismo. Ha, almeno da noi, anche una grande fragilità, determinata dal fatto che le aziende vitivinicole sono moltissime e nella stragrande maggioranza piccole. Fanno parte insomma di quella piccola e media imprenditoria che riesce a farsi sentire con difficoltà da politici e amministratori pubblici.
La parcellizzazione è tale che non c’è una sola azienda italiana nella top 10 mondiale, per fatturato e numero di bottiglie, e che la proprietà media di vigna supera di poco i due ettari. Tutto questo è da un lato un’enorme ricchezza, ovviamente, ma solo se ci si pone l’obiettivo di difenderla e di valorizzarla in modo efficace. Attraverso iniziative di promozione territoriale, ad esempio, come già vediamo con Cantine Aperte, con organizzazioni come il Turismo del Vino, e con il fenomeno della creazione di strutture recettive e di ristorazione anche in aziende vitivinicole di piccole dimensioni. Di certo non risolverà tutti i problemi, ma inizia ad essere una risposta, e credo che questo sarà sempre più evidente nel prossimo futuro.