Alla sua terza edizione, Incontri Rotaliani prosegue all’insegna dell’incontro: i vini di montagna trentini, I Teroldego Rotaliani, incontrano i vini di ‘A Muntagna siciliani, gli Etna Doc.
Sì, sto parlando degli ormai impavidi e acclamati vini rossi dell’Etna che non temono il confronto con nessuno, parola dell’enologo Calogero Statella in uno degli interventi della fitta due giorni dedicata al confronto e alla collaborazione. Riportare tutto ciò che è stato detto è impossibile, proviamo ad andare con ordine e toccare qualche aspetto saliente.
Gli Incontri Rotaliani
Innanzitutto cosa sono e dove si tengono gli Incontri Rotaliani. Location presto detta, siamo in Trentino, tra i comuni di Mezzocorona, Mezzolombardo e San Michele all’Adige nella cosiddetta Piana Rotaliana. Ogni anno partner da tutto il mondo; prima la Borgogna, poi la Rioja e oggi, per la prima volta, la collaborazione con vini italiani. A organizzarla sono Consorzio Turistico Piana Rotaliana Königsberg e Azienda per il Turismo Dolomiti Paganella in collaborazione con Civiltà del Bere e Associazione Culturale Alteritas Trentino. Incontri Rotaliani nasce per valorizzare la Piana Rotaliana, un “fazzoletto di terra” che, abbracciato dalle montagne e solcato dal fiume Adige e dal torrente Noce, costituisce una zona di eccellenza vitivinicola. Partiamo quindi da qui.
La Piana Rotaliana
Solo tre comuni, di cui per giunta due dal nome simile ma dai microclimi opposti. Mezzolombardo più freddo che va in ombra prima e le ore di luce sono riservate al mattino con il sole dolce da est. Mezzocorona invece più caldo, più ore di luce e di conseguenza anche una maggiore tendenza alla siccità, da tenere in considerazione nel corso della gestione del verde e del vigneto tutto. Il terzo è San Michele all’Adige. Chiude il quadro una ventilazione sul territorio pressoché costante, tra venti freddi dalle montagne e venti più mitiganti provenienti da sud dal Garda.
Fazzoletto di terra è la definizione scelta per rappresentare questo territorio di circa 1300 ettari vitati, 450 dei quali a bacca rossa autoctona Teroldego.
Abbracciata dalle montagne definisce una delle sue prime caratteristiche, quella di essere una “piana”, certo, ma di trovarsi a un’altitudine e a una latitudine tali da non poter essere considerata una pianura.
Adige e Noce, e loro esondazioni del passato incluse, contribuiscono infine a definirne le caratteristiche pedoclimatiche avendo negli anni segnato la natura dei suoli, sabbiosi – limosi – argillosi, così come la loro profondità e ricchezza.
Un’uva regina, il Teroldego… che a dirla tutta viene declinato al maschile, è Principe del Trentino. Maschio o femmina poco importa. Quello che conta è che il Teroldego, con testimonianze dal 1921 (mi riferisco alla pubblicazione di Dalmasso su Italia Agricola) costituisce un vero e proprio patrimonio vitivinicolo per il territorio la cui nomea oggi risulta leggermente appannata.
Perché ha perso il suo antico splendore?
Il mercato ce lo ricorda ogni giorno con l’abbandono sempre più frequente del consumo di vini rossi a favore di beve più disinvolte. La preferenza cade su vini bianchi, talvolta rosati, e sulle bollicine. Il Trentino, tra l’altro, è pure patria di uno dei metodo classico italiani più celebri e in ascesa, il Trentodoc, così come è una delle case del Pinot Grigio, sia esso Delle Venezie Doc, Trentino Doc o Igt, che è “solo” il vino bianco italiano più bevuto al mondo.
Il Teroldego di contro non è semplicemente “un rosso”… ma è una vera e propria fabbrica di antociani! Elisir di lunga vita verrebbe da dire pensando al contenuto naturale in antiossidanti. Vitigno generoso anche nelle rese, con un disciplinare di produzione che lo asseconda con 170 q/ha (anche se poi troviamo grandi riserva da vecchie vigne che producono 60 q/ha). Apparentemente contrario a quello che il mercato vuole, per esperienza personale dico che bere Teroldego e berlo in Piana Rotaliana, è cosa buona e giusta e che consiglio.
Come incentivarlo quindi?
Innanzitutto aumentando i numeri in termini di aderenza da parte dei produttori alla Doc. Operazione che faciliterebbe il racconto di questo vitigno suddiviso in tutte le sue versioni: dal Rotaliano Doc (pensate, la prima Doc varietale riconosciuta in trentino nel ’71), alla Riserva Doc per finire con il Rosato Doc. Considerando che il 1971 non è poi così lontano viene da pensare che si tratti di un vino piuttosto moderno. Senza dubbio versatile e dalla agilissima beva. Complici forse quei tannini così morbidi, e quella sua innata freschezza, talvolta balsamica, che ci riporta subito in un luogo di montagna.
La sua profilazione organolettico sensoriale risulta davvero interessante a dirla tutta, vuoi forse per lo studio intrigante del Professor Mattivi che ne descrive le caratteristiche organolettiche e sensoriali anche in termini di collaborazione e condizionamento reciproco delle varie componenti. Argomento che meriterebbe un approfondimento a parte, lo cito solamente ma credo che questa sia la (o una delle) strada da percorrere e perseverare per il futuro. Individuare un linguaggio oggettivo (scientifico) e universale per ogni vino renderebbe il lavoro più semplice per tutti. Creando un filo diretto dal produttore al consumatore tramite strumenti semplici e comprensibili.
Mentre troviamo il modo per arrivare a parlare tutti la stessa lingua, ben vengano nel frattempo situazioni di apertura e confronto con altri territori. Fonte non solo di opportunità per prendere spunto reciprocamente ma anche per valorizzare i propri punti di forza e le reciproche unicità.
Alcuni dei vini che seguono sono tratti dalla masterclass condotta dal caporedattore Stefania Vinciguerra, dedicata alle riserve in uscita.