Tutta l’Italia offre una grande varietà di vini dolci, vini da dessert o da meditazione: produrli è difficile e costoso e sono sempre meno diffusi. Antonella Amodio ce ne propone una scelta tra quelli campani.
I vini dolci campani negli ultimi anni hanno subito un notevole abbandono da parte del mondo della ristorazione, sostituiti da cocktail proposti come fine pasto (gli after dinner). Il vino dolce ha sempre rappresentato una piacevole conclusione di un pranzo, spesso accompagnato da un carrello di formaggi o in abbinamento ai dessert, ma nella lista dei vini è praticamente sparito e non si trova nemmeno nelle pasticcerie, dove in passato era spesso venduto con l’acquisto del dolce. Una categoria che è finita nel dimenticatoio e che i produttori di vino hanno in parte abbandonato, anche a causa degli elevati costi di produzione.
Un excursus storico e geografico

Sembra che i primi vini prodotti nell’antichità fossero dolci, noti per la loro longevità e capacità di migliorare nel tempo. Proprio per queste caratteristiche, potevano essere addirittura esportati e giungere in luoghi lontani dalle terre di produzione. Per gli Ittiti e i Traci, solo i re potevano permettersi di bere il vino dolce; per i Sumeri, invece, il vino puro era dolce ed era riservato agli dèi. Gli Hyksos, una popolazione semita dell’antico Egitto, producevano il vino dolce con uva passa nera. Poeti antichi hanno dedicato poemi a questa tipologia, uno su tutti Omero, che lo descrive come una bevanda divina, che aveva qualcosa di magico.
Uno dei vini dolci più antichi d’Italia è il Moscato di Siracusa, originario della Sicilia e citato in numerose opere di Alexandre Dumas. Nel suo Dizionario di cucina del 1873 è tra i liquorosi più celebri. I protagonisti del romanzo “I tre moschettieri” brindano con il Moscato di Siracusa, mentre il conte di Montecristo, nell’omonimo romanzo, lo offre regolarmente ai suoi ospiti.
In Toscana, il Vin Santo rappresenta uno dei più antichi simboli dell’ospitalità toscana e trova la sua prima citazione nel 1348, quando si parla di un frate francescano che impiegava un vino per curare le vittime della peste, lo stesso che i confratelli usavano per celebrare la messa. Non possiamo dimenticare i romani, che apprezzavano il Falernum, ottenuto piegando il peduncolo del grappolo per favorire l’appassimento, e poi servito con miele e spezie. La tradizione dei vini dolci si estende anche a Pantelleria, in Veneto con il rinomato Recioto di Soave, in Alto Adige e in altre regioni dell’Italia.
L’appassimento al sole è il metodo più antico ed esercita una concentrazione diretta e maggiore degli zuccheri, ed ha un fascino incredibile, sebbene oggi si utilizzino spesso essiccamenti indotti e controllati.
Un giro in Campania
Senza entrare nel merito del procedimento, quello che è importante è rivalutare il “vino da meditazione”, come lo chiamava Veronelli, come valore aggiunto alla cultura enologica del nostro paese. Ogni regione ce ne offre una nicchia che rappresenta vitigni, territori e cultura locale. La Campania, con i suoi ricchi terreni, con le escursioni termiche e la varietà di vitigni, propone una bella selezione nonostante il numero di bottiglie totali prodotte sia esiguo. Ne abbiamo selezionati 5.