Viaggio in Campania tra diversi vini in anfora, contenitore antico riscoperto negli ultimi anni che ha affascinato produttori da nord a sud della regione.
Nel panorama enologico mondiale, i vini in anfora da qualche anno stanno riscuotendo un rinnovato interesse grazie alla loro capacità di coniugare tradizione e modernità. Questo antico metodo di vinificazione, che affonda le sue radici migliaia di anni fa, sta vivendo una nuova era di apprezzamento tra gli amanti del vino e dei produttori, rappresentando un affascinante connubio tra passato e presente, unendo le antiche tecniche di vinificazione con le moderne.
Le origini antiche
Le anfore, grandi recipienti di terracotta, sono state utilizzate per la produzione e la conservazione del vino fin dall’antichità. Gli archeologi hanno scoperto tracce di vino in anfore risalenti a oltre 6.000 anni fa, nelle regioni della Georgia, dell’Armenia e dell’Iran. Queste prime anfore erano spesso interrate per mantenere una temperatura costante e preservare il vino.
Gli antichi Greci e Romani adottarono e perfezionarono l’uso delle anfore. Per i Romani, in particolare, le anfore erano fondamentali non solo per la vinificazione, ma anche per il trasporto del vino attraverso l’Impero. Il Falerno era uno dei vini conservati nelle anfore romane e sigillate con cera d’api, garantendo l’arrivo a destinazione ottimale durante i lunghi viaggi via mare e via terra.
Il declino e il ritorno
Con l’avvento delle botti di legno nel Medioevo e, successivamente, delle bottiglie di vetro, l’uso delle anfore diminuì significativamente. Le botti erano più facili da trasportare e permettevano una maggiore capacità di invecchiamento del vino, mentre le bottiglie di vetro offrivano una conservazione più pratica.
Tuttavia, negli ultimi decenni, c’è stata una riscoperta e rivalutazione delle anfore, grazie a un crescente interesse per i diversi metodi di produzione del vino e del risultato finale, tornando dunque all’uso delle anfore per sfruttare le loro caratteristiche uniche, che permettono una micro-ossigenazione del vino simile a quella delle botti di legno, ma senza apportare note rilasciate dal legno.
Questo processo di micro-ossigenazione contribuisce a una maggiore complessità e profondità del vino, mantenendo al contempo la purezza e l’espressione del frutto. Inoltre, la terracotta è un materiale neutro, permettendo alle caratteristiche intrinseche dell’uva e del terroir di esprimersi pienamente.
Il vino in anfora nel mondo, in Italia e in Campania
Alcuni dei più noti produttori di vini in anfora oggi si trovano in Georgia, dove la tradizione della vinificazione in anfora, o qvevri, è stata mantenuta viva per millenni. Anche in Italia, Spagna e Francia, diversi vignaioli da tempo sperimentano con le anfore. Il produttore simbolo in Italia è Josko Gravner, che già all’inizio degli anni 2000 iniziò a produrre la Ribolla Gialla in stile georgiano.
In Campania il primo a crederci è stato Mario Mazzitelli della cantina Lunarossa, producendo vini in piccole anfore di terra scura del Vesuvio, con la prima annata di Quartara nel 2008, seguito dopo pochi anni dalla cantina I Cacciagalli. Anche Villa Matilde Avallone fa uso delle anfore per il Falerno del Massico, ritornando così al metodo applicato già dagli antichi romani.
Oggi il panorama regionale offre diverse opportunità e alla manifestazione Gustarte nel piccolo borgo di Durazzano, in provincia di Benevento, ho degustato una bella rappresentanza di questa tipologia.