Il domaine Alexandre Bonnet, simbolo del territorio de Les Riceys nella Côte des Bar, ha realizzato un docufilm che è un inno al suo territorio. Abbiamo assaggiato i suoi champagne.
Non capita tutti i giorni di vedersi invitare a Parigi per la prima proiezione ufficiale di un docufilm: Les Riceys en Champagne – Domaine Alexandre Bonnet. Un anno di riprese per raccontare il territorio di Les Riceys, nel cuore della Champagne del sud. “Al di là della bellezza di questo ambiente incontaminato, il cortometraggio esplora la dimensione culturale, l’heritage e la forte identità del Cru più ricercato della Côte des Bar, nonché zona più storica e meridionale della Champagne, a fior di Borgogna”, così recitava l’invito.
Spoiler: si trattava esattamente di questo, e non di un’autoesaltazione dell’azienda, come spesso avviene in questi casi. La cosa che più mi ha colpito, guardando il docufilm, è stato come il Domaine Alexandre Bonnet, che ha fatto realizzare il progetto, ha voluto coinvolgere tutta la comunità di Les Riceys presentando non solo il territorio, ma anche chi se ne prende cura. Un taglio davvero nuovo ed emozionante, molto più coinvolgente di quanto sarebbe stata la mera presentazione dell’azienda, pur nel suo contesto.
Ecco il video
Ma cos’è Les Riceys? Siamo nella Côte des Bar, nel dipartimento dell’Aube. Stiamo parlando del più grande comune viticolo della Champagne dove, unico esempio, si incontrano tre denominazioni: Champagne, Coteaux-Champenois e Rosé des Riceys. Questo territorio per secoli è stato parte della vicina Borgogna, sempre conteso tra le due regioni e ha visto “vincere” la Champagne solo nel 1927. Qui la tradizione borgognona si fonde con il microclima del sud della Champagne e il suo animo sauvage, per dirla alla francese.
Simbolo di questo terroir unico nel suo genere, nella Champagne “a fior di Borgogna” di Les Riceys, è il Domaine Alexandre Bonnet, la cui storia inizia nel 1934 e che con i suoi 47 ettari vitati, è l’azienda con il più vasto terreno coltivato di quest’area. Grazie a una rigorosa selezione, le sue bottiglie racchiudono un gusto che porta la firma di un lavoro di squadra e un approccio familiare, anche questo ben rappresentato nel film.
L’incontro con il presidente del domaine, Arnaud Fabre, è avvenuto al ristorante Caves Pétrissans, storico bistrot parigino dal 1895 con cucina tradizionale di alto livello e una cantina meravigliosa. Qui Arnaud ci ha raccontato la storia dell’azienda, la sua filosofia produttiva, il suo territorio e ci ha guidato nell’assaggio dei suoi vini.
Come dicevamo, 47 ettari vitati con un’età media delle vigne di 30 anni e solo 200mila bottiglie prodotte (potrebbero farne più del doppio, ma preferiscono imbottigliare solo il mosto fiore e non usare vigne giovani o parcelle non interessanti nell’anno). Già questo delinea un approccio che prima della cantina tiene conto delle vigne e del terroir. I terreni sono analoghi a quelli di Chablis, essendosi formati nel Giurassico superiore, precisamente nel Kimmeridgiano. I vigneti sono parcellizzati secondo l’orientamento, la pendenza, l’esposizione e vinificati tutti separatamente. Vi si coltiva per il 90% Pinot Noir, diversi cloni champenois e borgognoni ma anche selezioni massali da vigne vecchie. Poi piccole percentuali di Chardonnay e altri vitigni locali, tutto in agricoltura biologica. La vinificazione è in acciaio, in riduzione, e una piccolissima percentuale in barrique per aggiungere un po’ di complessità.
La degustazione
Siamo partiti con il Blanc de Blancs, assemblaggio di Pinot Blanc con Chardonnay e una piccola quota crescente di Arbane. Uno champagne leggero, fine e saporito. Siamo poi passati a quello che a tutti gli effetti è lo champagne di ingresso: il Blanc de Noirs, assemblaggio da diverse parcelle (contrées) di Pinot Noir, 36 mesi sui lieviti. Di tutto rispetto, fresco e mentolato, ampio e generoso, preciso e ben delineato. Il biglietto da visita della maison, tirato in 100mila bottiglie.
È stata poi la volta di Les Contrées 7 Cépages 2019, un brut nature che deve il suo nome alle 7 varietà da cui è prodotto: Pinot Noir, Chardonnay, Meunier, Pinot Blanc (chiamato anche Blanc Vrai), Pinot Gris, Arbane e Petit Meslier. Deriva da uno dei due cru aziendali, La Géande, ma non possono metterne il nome in etichetta per un errore di registrazione. Questa vigna è una sorta di laboratorio dove si studiano sette varietà storiche della Champagne, tutte vinificate separatamente.
Siamo poi passati al primo rosso dell’azienda, il Coteaux Champenois Rouge 2021, ovviamente da Pinot Nero, selezione massale di una vecchia vigna. Vino che rende evidente il fatto che il territorio di Les Riceys è anche terra da rossi. Grappolo intero, macerazione solo 6 giorni, acciaio. Solo il 25% matura 9 mesi in barrique di Borgogna. Annata freschissima, con tanta pioggia, e quindi selezione importante. Colpisce il colore chiarissimo (più chiaro di un cerasuolo, per intenderci). Molto classico nei profumi di fragolina e rosa, fresco e fine. Un bel Pinot Nero settentrionale prodotto in sole 2.000 bottiglie numerate.
Eccoci poi ad affrontare due dei tre rosati prodotti, prima lo Champagne Rosé, un rosé d’assemblage da Pinot Noir con il 7% vinificato in rosso. Filosofia champenois all’opera per arrivare all’equilibrio di colore, gusto, eleganza, con diverse proporzioni dei vini base (2020) e l’aggiunta di vini di riserva. 36 mesi sui lieviti, dosaggio 4g/l, sboccatura dicembre 2023. Gelatina di lampone al naso e grande facilità di beva. Da qui allo Champagne Rosé Les Contrées 2019, rosé de maceration dall’altro cru aziendale, La Forêt, una vigna di 50 anni vicino al bosco. Ottima cuvée, molto particolare, che esce dall’identità champagne e si focalizza sul territorio.
Ha chiuso la degustazione il terzo rosato, il vino che orgogliosamente rappresenta il territorio, le cui uve provengono dallo stesso cru. Una tradizione, questa dei rosati, molto locale: qui infatti la produzione in rosa copre tra il 20 e il 30%, contro il 10% nel resto della Champagne. Nel bicchiere il Rosé de Riceys La Forêt 2020, il vino che esprime il carattere della maison. Come ha chiosato Arnaud, “è un privilegio vinificare questo vino” per la sua identità così fortemente territoriale.
Il che ci riporta al docufilm e al taglio che gli è stato dato, che denuncia la visione del domaine che potremmo sintetizzare in tre parole: territorio, territorio, territorio.