Appassionato di montagna oltre che di vino, Albino Armani cerca territori fragili di cui prendersi cura. Rigorosamente di montagna o di alta collina, in pendenza possibilmente, in un inevitabile assecondare le forme della natura.
Mi sono persa nei racconti di Albino Armani sulla sua passione per il vino ma soprattutto per la montagna. Persa e poi ritrovata in quei calici che hanno saputo parlare e confermare le intenzioni e i progetti di un produttore che va a caccia di territori ostili percependone la fragilità.
Il concetto che sembra stare alla base di tutto è il prendersi cura del territorio. Individuandone, con sensibilità rara, le fragilità. Un esercizio stilistico, che insieme alla buona pratica di vigneto e cantina riesce a portare in bottiglia un messaggio chiaro. Per fare questo una visione di insieme e un bel gioco di squadra sono tra gli ingredienti alla base.
Quando parlo di Albino Armani parlo di una persona in carne e ossa, certamente, ma non solo. Albino è proprietario e fondatore dell’omonima azienda, è anche (a tempo perso, dice lui) presidente della più grande doc italiana (a proposito, leggete qui se vi va: https://www.doctorwine.wine/degustazioni/la-case-history-del-pinot-grigio-delle-venezie/). Ma Albino Armani oggi è anche un brand che raduna sotto la sua ala ben quattro aziende da quattro territori e tre regioni. Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Una caratteristica su tutte li accomuna: l’altitudine. Rigorosamente territori di montagna o di alta collina, in pendenza possibilmente, in un inevitabile assecondare le forme della natura.
In azienda oltre Albino ci sono Egle, sua moglie che presta il nome a uno dei miei vini preferiti, il Valpolicella Superiore, e Federico, loro figlio nonché eclettico personaggio dalle intuizioni non scontate. L’origine della famiglia Armani in viticoltura è storica, datata 1607 con le prime testimonianze accertate. Ora come allora, sente di appartenere alla terra, esattamente “come le pietre, i fiume e le piante”.
Il concetto di fragilità
Non banale e essenziale sembra essere il concetto di fragilità. Ritorna spesso nei racconti di Albino Armani e sembra essere proprio alla base delle sue scelte nell’individuare il prossimo territorio di cui prendersi cura. Nulla può essere dato per scontato, e pretendere di padroneggiare la natura sarebbe davvero troppo. Al massimo si può giocare, forti dell’esperienza degli anni alle spalle, a prevederne le mosse. Consapevoli di mettersi alla prova con una fuori classe, in una sfida persa in partenza ma dove l’importante è partecipare perché se ne uscirà, seppur sconfitti, sempre vincitori in conoscenza e esperienza. Non fraintendete, l’approccio è pratico, consapevole e scientifico ma mai forzato e pronto a lasciarsi sorprendere.
I vini
Da questi presupposti nascono i vini Albino Armani. A partire dai Trento Doc, metodo classico da Chardonnay e Pinot Nero. Essenziali, verticali, liberi di esprimersi senza dosaggio di zucchero. Schietti, profondi e complessi.
Si scende, ma davvero di poco, in altezza quando si parla di Valpolicella. Valle di Marano, siamo in Valpolicella Classica, nella parte alta (550 m), in pendenza, dove i vigneti, custoditi in una conca che gode di poche, ma buone ore di sole al giorno, cullata dal vento che proviene dai monti alle spalle, dominano la pianura sottostante. La si vede, ma non la si tocca. Non c’è inquinamento luminoso, sporadiche le macchine dei residenti. Una tappa enoturistica da raggiungere almeno una volta nella vita. La terrazza, che è un giardino, è unica nel suo genere e permette non solo di godersi al meglio i vini ma di fare per un attimo pace con sé stessi. La cantina risale a 10 anni fa, perfettamente integrata nel territorio si veste di materiali autoctoni, dalle pietre ai sassi.
Schema simile, altro territorio, in Friuli Venezia Giulia a Terre di Plovia. Dove la montagna è alle spalle. Qui ci si dedica a un progetto davvero unico di recupero di antiche varietà dimenticate. Esplorandone il gusto perduto e le loro caratteristiche funzionali ai tempi moderni. A proposito di varietà dimenticate un focus va dedicato a Foja Tonda.
Il Foja Tonda, cioè il Casetta
Ci sono dei vitigni, e di conseguenza dei vini, che oscillano tra l’essere un’ossessione e una missione. Esempio perfetto ne è il Casetta, in dialetto Foja Tonda, e per conoscerlo dobbiamo tornare in Veneto e spostarci nel territorio di confine della Valdadige. Varietà antica dalle origini ancestrali e selvatiche. Ad oggi custodita dalla cantina Albino Armani che si sta impegnando per preservarla e perpetrarla in nome della conservazione e laddove necessario miglioramento genetica. Selvatica, generosa, naturalmente resistente. Autentica. La sua storia ricorda quella del, leggermente più famoso, Enantio, ma nel calice è tutta un’altra cosa. Dà vini profumati e fragranti. Scorrevole e complessi. Rustici ma deliziosi. Ne ho amato la storia e anche il sapore. Ovviamente la Valle dell’Adige è anche e soprattutto casa del Pinot Grigio, nella sua versione bianca e ramata.
Immergersi nella realtà di Albino Armani non è un’esperienza banale.
Ne è valsa la pena perdersi per poi ritrovarsi.