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Viva Banfi e viva Ezio Rivella, vent’anni dopo

Banfi Montalcinio, il Castello di Poggio alle Mura

Ripubblico un editoriale che scrissi sul Gambero Rosso quasi vent’anni fa. Lo faccio ricordando il Cavalier Ezio Rivella, il mio amico Ezio, che ci ha lasciato qualche settimana fa.

Allora mi criticarono aspramente per questo pezzo: Viva Banfi e viva Ezio Rivella. Ora forse il tempo ci ha fatto capire molte cose, compreso il fatto che, se a Montalcino non sono mai riusciti a entrare gli imbottigliatori e il prezzo del Brunello non è mai stato oggetto di speculazioni al ribasso, tutelando il reddito agricolo e delle cantine, questo è stato anche, direi soprattutto, merito della Banfi e della lungimiranza di Ezio Rivella, persona schietta e priva di ipocrisia, che raccontava le cose come stavano e agiva di conseguenza.

L’editoriale di vent’anni fa: Viva Banfi e viva Ezio Rivella

Avrei potuto intitolare questo editoriale anche viva Antinori, o viva Ruffino, o viva Ferrari, o, ancora, viva Caprai. Viva, cioè, tutte quelle aziende che hanno contribuito in modo decisivo, intelligente e professionale alle affermazioni del vino italiano di qualità. Sia sul mercato nazionale sia nel resto del mondo. Il Castello Banfi ne è uno degli esempi più significativi, anche per come le cose sono andate.

Era la fine degli anni Settanta, quando due importanti imprenditori americani, ma di evidenti origini italiane, John ed Harry Mariani, decisero di investire fior di quattrini nella realizzazione di una grande azienda vitivinicola in Italia. Ingaggiarono Ezio Rivella, enologo già famoso e manager vitivinicolo “in nuce”, e gli affidarono il difficile ma prestigioso compito. Lui individuò in Montalcino la zona più interessante. 

Montalcino negli anni ‘70

Era una Montalcino ben diversa da quella di oggi. Pochi i produttori, forse meno di trenta, il Brunello era una semplice Doc, non conosciutissima, ma già con qualche prestigio. Aveva avuto un piccolo boom alla fine del decennio precedente, ma al di là di Biondi Santi, di Barbi, di Col d’Orcia, del Poggione, degli appena nati Altesino, Caparzo, Nardi e Lisini, dei piccoli viticoltori Cencioni e Baricci, del conte Costanti, di Camigliano e di Poggio alle Mura c’era veramente poco d’altro. 

Quando Rivella iniziò a fare incetta di piccoli poderi ed acquistò tutta la tenuta di Poggio alle Mura, castello compreso, si cominciò a gridare allo scandalo. Gli “Amerikani” che comprano mezza Montalcino, peggio di Mc Donald’s a Piazza di Spagna. 

Poi iniziarono i lavori di sbancamento di intere colline, che proseguirono per anni e che fecero guadagnare ad Ezio Rivella il soprannome di “Livella”. Infine, dall’82 o giù di lì, ecco i primi vini. Inizialmente, ed erroneamente, costituiti da prodotti che strizzavano l’occhio ad un’immagine commerciale un po’ troppo spinta, con i vari Bellagio, a base di moscato, ed altre amenità. Sostituite però velocemente con vini ben più seri, supportati da una commercializzazione internazionale di grande efficacia. 

Il lancio internazionale del Brunello

I Mariani erano stati gli artefici del boom del Lambrusco negli Usa, con le Riunite di Reggio Emilia; quindi, per la loro organizzazione lanciare un grande rosso toscano è stato meno difficile del previsto. E di lì, con oltre 900 ettari in produzione, con molte centinaia di migliaia di bottiglie di Brunello e di Rosso di Montalcino, è realmente iniziato quel fenomeno che ha in seguito portato il Brunello ad essere uno dei vini italiani più conosciuti ed apprezzati nel mondo. 

Ora le nuove generazioni dei Mariani, James e Cristina, più Enrico Viglierchio, nipote di Giuseppina che fu la storica direttrice commerciale della Banfi e che ha ereditato il ruolo dalla zia, e Rodolfo Maralli, continuano sicuri per la loro strada e nessuno si sogna più di dire, a Montalcino, che la Banfi è stata un danno per l’immagine del Brunello.”

Dal nostro archivio, per conoscere meglio Banfi:

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