Storica azienda della Valpolicella, Santa Sofia possiede 24 ettari in una particolare zona: Montegradella. Da qui nasce l’Amarone Gioè, che esce solo in annate particolar, come la 2013, che abbiamo assaggiato in anteprima.
Esiste un luogo in Valpolicella Classica, a pochi km da Verona, che si chiama Montegradella. A tutti gli effetti un toponimo, ma qualcuno lo chiamerebbe grand cru. Si trova al centro dei vigneti a menzione classica, è tutto coltivato a vite e ulivo. Le viti sono a pergola veronese, i vigneti sono terrazzati, e la composizione del suolo è per lo più calcarea, suoli bianchi ricchi in sassi più o meno grandi. La ventilazione e l’escursione termica non mancano, e hanno contribuito e rendere Montegradella un’oasi felice per Corvina, Corvinone e Rondinella, le uve rosse autoctone veronesi per eccellenza.
A conoscenza di tutte queste informazioni, e anche di più, è Luciano Begnoni, che in Montegradella ha visto la casa dei suoi vini più importanti. L’azienda Santa Sofia, di cui Begnoni è titolare, accudisce la bellezza di 24 ettari in questo toponimo. Qui vede la luce prima di tutti il vino che ne porta il nome anche in etichetta, il Valpolicella Classico Superiore Montegradella (ora fuori con la vendemmia 2018). Ma un luogo così vocato non poteva non dar vita anche a un Amarone ed è proprio dai migliori filari di Montegradella che, nelle annate più indicate, nasce l’Amarone della Valpolicella Classico Gioè. Di questa speciale espressione di territorio e di vino è finalmente pronta la nuova annata, la 19esima in quasi sessant’anni, dal 1964. Ho assaggiato la 1998, decisamente extra-ordinario, e in anteprima la vendemmia 2013; annata quest’ultima che la famiglia Begnoni definisce “sinonimo del rinascimento enoculturale che vogliamo portare nel territorio”.
Per capire il significato di “rinascimento enoculturale” bisogna fare un passo indietro (di 200 anni) e partire dalle origini. Santa Sofia come azienda vitivinicola nasce due secoli fa, con una produzione di vino attestata a partire dal 1811. Simbolo dell’azienda, sebbene con l’azienda abbia ora poco a che fare, è la Villa progettata da Andrea Palladio nel 1565. La Villa oggi è inagibile e chiusa al pubblico, ciò che invece è visitabile sono le cantine sottostanti, di pertinenza dell’azienda vitivinicola, che costituiscono il luogo di riposo del vino nelle botti di legno. La parte più vecchia della cantina sotterranea è datata 1300 e fu a opera dei frati di San Bernardino, gli stessi che eressero la cappella dedicata a Santa Sofia, da cui il nome dell’azienda.
La prima figura della famiglia Begnoni ad arrivare a Santa Sofia fu Giancarlo Begnoni, enologo per vocazione, animato da una grande passione per i vini della Valpolicella. Fu lui nel 1967 a rilevare la parte cantina e cambiare per sempre il destino dell’azienda agricola. Da subito ebbe una grande intuizione per quanto riguarda l’Amarone, riscontrando in una botte fortunata che riposava in cantina un guizzo diverso e vibrante; quella botte di Amarone 1964 era nuova linfa che decise di tenere separata dal resto della produzione decretando ufficialmente la nascita di un nuovo vino che oggi conosciamo come Amarone Gioè. Intuizione di tutto rispetto specialmente se pensiamo che in quegli anni l’identità dell’Amarone ancora praticamente non esisteva e andava via via delineandosi. Da allora, per 19 volte, si è compiuta la stessa magia. Solo quando l’annata lo permette e il vino in cantina si comporta in un certo modo, Giancarlo prima, oggi suo figlio Luciano con il giovane enologo Matteo Tommasi (enologicamente parlando cresciuto da Giancarlo stesso), danno vita a questa limited edition.
Oggi l’azienda produce 650mila bottiglie/anno, da 5 doc differenti. Luciano, dopo la premaura scomparsa della sorella Patrizia, sempre nei suoi pensieri e ricordata con molto affetto, ha, meritatamente, mandato in pensione il papà. Sicuro delle solide basi dell’azienda, oggi punta tutto su un team giovane, dinamico e professionalmente preparato. Oltre al già citato Matteo, più riservato e meno mediatico, impossibile non menzionare Chiara Guardini. A Chiara è affidata la parte di comunicazione e ospitalità in cantina, preparata e sul pezzo trasmette in pieno l’essenza di Santa Sofia e della Valpolicella. A breve (speriamo) sarà operativa una nuova sede della cantina, poco distante dall’attuale; la nuova costruzione sarà efficiente e performante sia dal punto di vista operativo che enorgetico. Ma Santa Sofia non è solo Valpolicella Classica… il progetto Briago è realtà. 45 ettari, di cui 15 a vigneto, di proprietà dal 2015, tutto a Guyot, varietà autoctone, tra i 320 e i 440 metri di altitudine in Valpantena, l’altra menzione geografica della denominazione. L’obiettivo in questa nuova tenuta sarà puntare su pratiche di vigneto, immerso nel bosco e nella biodiversità, certificate bio spingendosi fino al biodinamico.
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